mercoledì, aprile 26, 2006

 

Beni comuni e nuovo welfare

il manifesto, 16 febbraio 2006
POLITICHE DEL LAVORO
Beni comuni e nuovo welfare
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Uno spettro si aggira per l'Italia, lo spettro della povertà e della precarietà. L'indagine sui redditi delle famiglie italiane della Banca d'Italia dice che il 10% delle famiglie più ricche detiene il 27% della ricchezza, il 10% più povero solo il 2%. Nel periodo 2002-2004 i redditi dei lavoratori dipendenti si sono ridotti del 2% mentre quelli dei lavoratori indipendenti (soprattutto imprenditori e liberi professionisti) sono aumentati dell'11%. I dati del rapporto Istat 2005 sulla povertà in Italia confermano questi trend: quasi il 10% delle famiglie è sotto la soglia di povertà e oltre il 13% dei lavoratori/trici con un'attività lavorativa continuativa non raggiunge un reddito superiore alla soglia di povertà relativa. Negli ultimi
dieci anni, il grado di precarizzazione è aumentato sino ad interessare oggi più di un terzo dell'intera forza lavoro italiana, con punte di oltre il 60-65% per coloro che hanno meno di 35 anni.
Ciononostante, parlare di distribuzione del reddito oggi è come bestemmiare, e una riforma del welfare come strumento per combattere l'ineguaglianza sociale non fa parte dell'agenda politica.
Dall'interno del vasto panorama della sinistra - da quella radicale a quella riformista - due sono le alternative che ci vengono offerte: o gli interventi contro la precarietà che auspicano il ritorno a forme contrattuali subordinate di stampo fordista (Fiom, Prc, la proposta di legge popolare di www.pecariarestanca.it); o, sulla scia del pacchetto Treu, l'incremento della flessibilità come unico mezzo per garantire forme di occupabilità, anche tramite la reintroduzione aggiornata di
strumenti vecchi come le gabbie salariali (Ichino e i liberal-democratici). Da questo punto di vista, appare drammaticamente significativo il manifesto dei Ds «oggi precarietà, domani lavoro».
Sul tema della povertà, l'unica proposta finora presentata rimanda all'esperimento della Legge Turco di fine anni `90, finalizzata all'introduzione di un reddito minimo garantito, non universale, condizionato, insomma una forma assistenziale momentanea per i periodi di non lavoro. Lo stesso programma dell'Unione, come pure i tre volumi
editi dalla Fondazione Di Vittorio, presuppongono interventi compatibili con la filosofia del libero mercato, vincolato in parte da un intervento di regolamentazione pubblica. Il ripensamento della politica fiscale e del welfare appare una chimera (unica eccezione, le proposte di riforma degli ammortizzatori sociali).

Riteniamo invece - anche sulla base delle mobilitazioni sul lavoro precario promosse dalle Mayday - che sia necessario voltare pagina, e porre al centro della proposta politica una nuova idea di welfare congruente con le nuove leve dell'accumulazione capitalistica che caratterizza la fine del paradigma fordista-keynesiano. Il welfare
state keynesiano è stato il frutto di un compromesso fra la necessità del capitalismo di garantire stabilità lavorativa e di consumo per la valorizzazione della produzione di massa e le rivendicazioni sociali volte a garantire condizioni di vita più dignitose e umane. Anche oggi abbiamo bisogno di condizioni di vita più dignitose ed umane, ma le caratteristiche dell'accumulazione capitalistica sono mutate: il
passaggio al il capitalismo cognitivo impone nuove rivendicazioni economiche e sociali.

Il processo produttivo è caratterizzato sempre più da elementi immateriali legati alla capacità intellettiva e cognitiva. Prova ne sono la terziarizzazione dell'economia, le nuove modalità organizzative e strategiche adottate dalle imprese, basate su forti processi di apprendimento e su nuove di economie di scala, la
diffusione delle nuove tipologie contrattuali: non v'è differenza sostanziale tra occupazione e disoccupazione, esiste solo il lavoro intermittente, più o meno precarizzato o specializzato. Si potrebbe sostenere che la disoccupazione è lavoro non remunerato e che il lavoro è a sua volta disoccupazione remunerata. L'antica distinzione tra «lavoro» e «non lavoro» si risolve in quella tra «vita retribuita»
e «vita non retribuita».

Il welfare state novecentesco non è più in grado di creare le condizioni per entrare nel mercato del lavoro, né può garantire il diritto al lavoro. Un welfare adeguato alle domande del presente deve creare le condizioni perché ogni individuo residente in un territorio abbia la garanzia di un reddito stabile e continuativo che gli
consenta lo sviluppo delle sue capacità cognitive-creative (basic income) e gli assicuri il diritto di scelta del lavoro (ben diverso e più dirompente del diritto al lavoro).

Occorre anche prendere atto che la produzione e l'attività lavorativa non avvengono più in un luogo solo (fabbrica, ufficio, casa), ma sono disseminate in un territorio, fisico e virtuale. Attività produttiva e spazio tendono a coincidere; l'attività lavorativa è sempre più attività di relazione e interconnessione reticolare; sfuma anche la separazione tra produzione e consumo, produzione e riproduzione. Il welfare, per garantire come perno centrale della sua azione un reddito dignitoso incondizionato, deve riferirsi a un duplice livello spaziale: quello sopranazionale (nel caso nostro, l'Europa in primo luogo), si veda il rapporto Supiot) e quello locale.

Infine. Lo sviluppo del paradigma cognitivo di accumulazione tende sempre più a basarsi sullo sfruttamento di beni comuni, che sono allo stesso tempo individuali e sociali, perché frutto dell'agire sociale umano: i beni primari della terra (acqua, energia), e quelli (conoscenza, comunicazioni, informazioni) che risultano dalle
interconnessioni sociali su cui si basa la cooperazione sociale produttiva, e sulla cui espropriazione da parte dei poteri economici privati si basa altresì il principale dispositivo di creazione di ricchezza. La dicotomia privato - pubblico appare superata a vantaggio del concetto di proprietà comune. La preservazione dei beni comuni e la distribuzione sociale dei guadagni che il loro sfruttamento
comporta sono il nuovo obiettivo di un possibile welfare adeguato all'attuale struttura produttiva. E' questa la base da cui partire anche per una nuova politica fiscale.

E' necessario fare del bene comune una categoria politica basilare per costruire una logica istituzionale adeguata a una nuova società. A poche settimane dalle elezioni, siamo convinti che sia urgente e necessario affrontare questi temi in un confronto aperto tra le diverse anime della sinistra.

*** Beppe Allegri, Gabriele Ballarino, Papi Bronzini, Alex Foti, Stefano Lucarelli, Andrea Fumagalli, Massimo Mazza, Cristina Morini, Filippo Pretolani, Anna Simone e la lista Neurogreen

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